Empower Challenge 2023 – Annapurna 100km

Empower Challenge 2023 - Annapurna 100km

Empower Challenge 2023 – Annapurna 100km è il racconto di un’avventura lunga 100km in quasi un giorno intero dove solidarietà, amicizia e passione sono gli ingredienti principali.
A Guendalina Sibona (la scrittrice dell’articolo) va il merito di aver ideato e voluto questo giro e, soprattutto, la bravura e la tenacia nel coinvolgere amici e conoscenti, corridori e non, accomunati dagli stessi valori.

Non vi resta che continuare a leggere…

Mira Rai

La storia di Mira Rai arriva da lontano, da un piccolo villaggio nel distretto di Bhojpur, all’altezza del Makalu, ma in un’area di nessun interesse turistico e per questo lontana da tutto e da tutti.
Qui Mira è nata e cresciuta trasportando in salita sacchi di sale, di riso e secchi d’acqua.
La sua storia diverrà nota in tutto il mondo quando si presenterà sulla scena mondiale del trail running infrangendo diversi record e piazzandosi ai vertici delle classifiche.

In famiglia, è stato Marco, il mio compagno, a conoscerla per primo. Correva l’anno 2014 e Mira era sulla linea di partenza del Mustang Trail Race.
Non aveva la più pallida idea di cosa volesse dire correre una gara a tappe di quella lunghezza eppure l’aveva vinta.
Un gruppo di atleti vivaci, provenienti da varie parti del mondo, si era riunito a Hong Kong la primavera successiva con l’intento di aiutare Mira in quella che sembrava essere la sua strada.

Nel 2015 Mira è venuta per la prima volta in Europa.
L’ho conosciuta allora. Mi ero stupita di quanto sembrasse giovane.
Aveva quasi trent’anni – solo quattro meno di me – eppure conservava la spontaneità e lo sguardo di una ragazzina poco più che adolescente.
La sua allegria e la sua grinta bastavano da sole a spalancarle le porte e a colmare qualsiasi distanza culturale e linguistica e, quando si metteva a correre, era chiaro che quella marcia in più ce l’aveva nel dna.

Marco, quell’estate, l’ha accompagnata ad Annency, nella sede della Salomon.
Da quel momento, il suo nome è diventato leggenda. Ma non solo.
Mira in breve è divenuta fonte di ispirazione per tante giovani nepalesi e nel 2017 National Geographic le ha anche assegnato il premio Adventurer of the Year.

Purtroppo la sua carriera sportiva si è interrotta troppo presto.
Un infortunio al ginocchio. Un’operazione, poi un’altra. Lo stop forzato per la pandemia.
E, quando quest’anno era pronta a riprovarci, il ginocchio l’ha costretta al ritiro in più di un’occasione.

C’è un fatto però, Mira è una persona entusiasta e generosa e non ha passato i mesi a lagnarsi per i suoi mali, anche se sarebbe pure stato comprensibile.

Mira Rai Initiative

mira initiative

Divenuta ormai donna consapevole dall’intelligenza brillante e il cuore grande, ha deciso che il suo cammino sarebbe tornato nei villaggi, in quel mondo rurale in cui tante ragazze ancora oggi non hanno l’opportunità di scegliere la propria vita.
Appena passata l’età della fanciullezza, non resta loro che il matrimonio, la cura della casa e poco di più.

Cinque anni fa Mira ha fondato Mira Rai Initiative, un’organizzazione a supporto delle giovani donne delle zone rurali.
Ha fondato una scuola a Katmandu che ogni anno accoglie nuove ragazze e permette loro di studiare, imparare l’inglese, fare sport e correre.
Voglio dare ad altre la possibilità che ho avuto io.” Così sintetizza Mira.
Alzare lo sguardo sul mondo e cercare la propria strada oltre le imposizioni sociali.

Empower Challenge

È a sostegno di questo progetto che nel 2020 è nato l’Empower Challenge, una gara virtuale il cui ricavato va alla scuola di Mira.
Le regole sono semplici: un mese di tempo per correre 42 o 100 chilometri, a seconda della distanza scelta.
A ogni allenamento si carica sul sito quanto fatto e si vede il proprio segnaposto avanzare su un percorso tracciato su una mappa del Nepal.
Quest’anno un percorso nell’Annapurna.

I Run For Mira – Empower Challenge 2023

percorso

Siccome il primo anno dell’Empower Challenge ho fatto un po’ di pubblicità tra gli amici, ho visto che la faccenda raccoglieva consensi.
Quell’anno, Domenico e io, in pensione lui e in cassa integrazione io per via del covid, ci siamo sfidati sui sentieri innevati della Brianza per chiudere nei primi quattro giorni del mese i nostri cento chilometri.

L’anno scorso, trentacinque amici hanno comprato il pettorale e tanti di loro sono venuti a correre un tratto con me che facevo Colico-Milano con le bandierine nepalesi appuntate allo zaino.

Quest’anno non potevo esimermi dall’appoggiare ancora e con tutte le mie forze la gara della mia amica.
Il riscontro è stato oltre le aspettative. Più di sessanta amici hanno preso il pettorale.
E non solo gli amici storici, ma anche quelli più recenti.
E non solo gli assetati di chilometri, ma anche quelli più normali che corrono al parco nel weekend e nei ritagli di tempo.
E non sono quelli più giovani, ma anche mio zio, classe 1941.
E non sono quelli più maturi, ma anche Oliver, classe 2013.
E già così potevo dirmi soddisfatta, anzi commossa dalla generosità delle persone che mi circondano.

Ora, però, bisognava correre.
Perché va bene cento chilometri in un mese, ma vuoi mettere farli in un giorno coinvolgendo tutti quelli che hanno preso il pettorale?
I Run For Mira, si chiama il nostro gruppo. Per Mira e per le sue ragazze e per le nuove che presto arriveranno.

100km – L’itinerario dell’Empower Challenge

Ho disegnato un itinerario che fosse fattibile nel mese di gennaio, con l’insidia della neve e, più in generale, del meteo.
Il Triangolo Lariano si prestava allo scopo.
Con un po’ di ghirigori, la traccia prometteva i cento chilometri e un discreto 5500 di dislivello.

Ho guardato i dati dei miei ultimi mesi di corsa. Non erano troppo incoraggianti: 1200 d+ in tutto novembre, nemmeno 200 km percorsi a dicembre, un lungo stop per il covid beccato tra la fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo. Tampone negativo da una settimana e un discreto strascico di tosse.

Nessun dubbio, però, di poter fare l’intero giro, perché per me il fattore morale è tutto e la risposta dei miei amici è stata come sempre all’altezza delle aspettative.

E così, sabato 14 gennaio si corre.

A Valmadrera alle cinque del mattino siamo in otto a partire.
C’è Teresa (pettorale #25) che, un mese dopo il Tor des Géants, 105 ore mica cazzeggio, s’è messa a fare le ventiquattr’ore su asfalto, perché qualsiasi sfida è emozionante, purché si corra.

C’è Domenico (pettorale #13), che, come di consueto, alla gara ha iscritto moglie e cani e, dopo aver finito i chilometri con Fanny (pettorale #16) e gli altri con Willy (pettorale #15), ora è pronto a partire con gli umani.

C’è Matteo (pettorale #85), che ho incrociato per due minuti soltanto prima di oggi e che davvero ancora non conosco, ma poco importa perché quando hai un progetto in comune come questo, non c’è bisogno di tanti complimenti per stringere amicizia.
Ha un menisco messo male, in attesa di operazione, ma finché regge…

Ci sono Massimo (pettorale #48) e Massimo (pettorale #51), loro sono inscindibili e, poiché abitano a Valmadrera, arrivano a piedi al parcheggio di ritrovo.
“Facciamo fin dove riusciamo…”

C’è Andrea (pettorale #47), che ha saputo del giro un paio di giorni fa, ma lui è sempre pronto, neanche da chiedergli se avesse caricato negli ultimi giorni, se avesse voglia o tempo. Ci sono cento chilometri da fare e una buona causa da sostenere? Andrea c’è.

E c’è anche Stefano (pettorale #8), che dell’Empower Challenge è Senatore, avendo partecipato con grande entusiasmo a tutte le edizioni.

L’ottava sono io (pettorale #5). A me l’onere e l’onore di tenere le fila e dettare i tempi.

Marco (pettorale #4), con Giulia (pettorale #17) e Luca (pettorale #59), ci seguirà per tutto il giro, raggiungendoci per prepararci i ristori.
E questa credo sia l’interpretazione più generosa della giornata, perché Marco fa salita con la stessa frequenza con cui respira e chiedergli di rinunciare a una giornata di fatica è un po’ come chiedere a Tarantino di non usare il sangue in qualche scena.

Partiamo che è ancora buio pesto e andiamo a San Tommaso in fila indiana. Al Grande Faggio, il Fò, abbiamo già quasi macinato mille metri di dislivello e al Rifugio SEV li abbiamo anche superati. E siamo solo a cinque chilometri.
Giù a tutta fino a Valbrona, dove ci aspetta il primo ristoro con grandi fette di panettone e the caldo.
Giusto in tempo per ripartire con noi, arriva Simone (pettorale #20).

Il mio cane, Ceres (pettorale #5) è in benzina e ci saluta con grandi abbaiate, svegliando tutto il paese. Poco male, inizia ad albeggiare.

Il Sentiero del Tivano al sorgere del sole è divertente e assicura un panorama niente male, anche perché la giornata si annuncia, a dispetto delle previsioni, limpida e nemmeno troppo fredda.
Mentre scendiamo verso Magreglio, Davide (pettorale #53) e suo figlio Michele, ci stanno venendo incontro.
Giù tutti insieme mentre i fotografi (Giulia e Luca) ci attendono con gli obiettivi puntati.
Oltre al ristoro – stiamo già passando al salato – c’è il mio grande amico Vittorio (pettorale #12). Sul Vitto, ci si può sempre contare, basta non farlo stare davanti, perché ha il vizio di sbagliare strada.

Ripartiamo in dodici e ci fermiamo giusto un attimo a Civenna per scattare qualche foto.
Un’anziana signora, a passeggio di buon ora col cane, si ferma interdetta quando ci vede. Io mi attardo, mentre il gruppo sfila per la via, spigandole in breve della nostra corsa. Le mostro il pettorale e le bandierine sullo zaino, ma dubito che conosca Mira, per cui sintetizzo: Corriamo per le donne nepalesi.
Un po’ generico me ne rendo conto, ma lei sorride e, mentre mi allontano, la sento urlare: “Sono con voi!”

Arriviamo a Bellagio alle 10:00 in perfetta tabella oraria.
Massimo e Massimo scalpitano, non tanto per ripartire, tanto meno per fermarsi – “veniamo ancora fin dove riusciamo” confermano -, quanto per farsi una birra. La prima della giornata. D’altra parte, io sto già spremendo il tubetto di maionese sulle uova sode.
A ognuno il suo.
E poi Luca ci ha comprato anche pizzette e focacce. Spazzoliamo tutto e ripartiamo.
La salita che ci attende è lunga e ripida, su acciottolato prima, nel bosco poi, fino a sbucare dalla zona alberata e ritrovarsi sospesi tra cielo e lago, ugualmente azzurri e splendenti, sotto il Monte Nuvolone.
Mentre il gruppo si ricompatta, scambiamo due parole con un paio di escursionisti fermi al belvedere.
Massimo storce il naso, quando mi sente sfoggiare il motto Corriamo per le donne nepalesi.
“Più che correre, camminiamo per le donne nepalesi.”
Confermo. Poi va be’, non proprio per tutte. Solo per quelle giovani che vengono dai villaggi e hanno l’ardire di cambiare la propria vita.
L’emancipazione femminile che passa attraverso lo sport. Ho sintetizzato meglio?

Poco dopo il Nuvolone, Davide e Michele si staccano dal gruppo per far ritorno alla macchina che hanno lasciato a Magreglio. Percorreranno oggi 26 km a testa.

Al Rifugio Martina, con gran gioia di tutti, deviamo sulla sinistra, perché il Monte San Primo non rientra nell’itinerario.
A dire il vero, avevo tracciato un primo anello che passava da tutte le cime del Triangolo Lariano, dal Monte San Primo al Palanzone, dal Bolletto al Bollettone, e, tornando, addirittura dal Cornizzolo e già che c’eravamo dal Monte Rai, in omaggio a Mira.
Quando ho letto il dislivello complessivo, però, ho iniziato a tagliare di qua e di là e a ridimensionare la faccenda.

lago di como

È il momento di salutare anche Vittorio, Domenico e Stefano, che insieme totalizzeranno 98 km.
Aggiriamo il San Primo, i cui pendii sono appena spruzzati di bianco, e ci presentiamo con passo brioso alla Colma di Sormano, dove gran tifo ci aspetta.
Ci sono i miei zii, Francesca (pettorale #12) che farà con noi un simbolico chilometro e Zazzà (pettorale #7).
Ci sono Novella (pettorale #11), pronta ad aggregarsi alla carovana e Roberto (pettorale #52), che si aggiunge al gruppo di supporto.
C’è Ivano (pettorale #19), che, un attimo dopo avergli annunciato il giro, mi ha detto: “Faccio dalla Colma alla fine” ed eccolo qui.
E c’è Luca, che finalmente s’è messo in tenuta da corsa e ha spillato il pettorale.
Si ferma Simone, dopo 33 chilometri di falcate incontenibili. Anche perché ha circa un metro e ottanta di femori.
Ed è costretto a salutarci anche Matteo: il ginocchio non ne vuole più sapere. Ci pensa Ceres a tirarlo su di morale, visto che lo trova a terra con la faccia alla sua altezza, decide di lavargliela tutta, forse sperando che il suo intervento possa bastare a rimetterlo in piedi.
Ritirarsi in gara è uno schifo, ma anche oggi a Matteo non fa certo piacere. Il suo contributo è di 43 chilometri.

Il menù della sosta prevede noodle in brodo. Caldi e gustosi con quella salsina di soia che va bene solo per stomaci forti. Il mio lo è di sicuro.

Il gruppo rinnovato riparte in salita, fino alla Bocchetta di Palanzo, e poi giù in picchiata verso l’altro ramo del lago.
Agganciamo la Strada Regia, un bel sentiero in costa, a tratti un po’ wild, tra i paesini comaschi.
Tra Palanzo e Lemna rischiamo di sbagliare strada, ma Marco sta salendo col van e ci strombazza appena in tempo per riportarci sulla giusta direzione. Quella che va in salita, ovviamente.

Corricchiamo e camminiamo. Se ce lo chiedono adesso, il motto sta rapidamente diventando arranchiamo per le donne nepalesi. Ma sempre col sorriso.

lungo lago

Passiamo i sessanta chilometri e festeggiamo Massimo che non ha mai superato questa distanza.
A ogni chilometro l’orologio vibra e riparte la festa.
La bella giornata ci regala un tramonto colorato sul lago e, in breve, è buio.

Giulia e Roberto ci vengono incontro da Brunate. Fanno un paio di chilometri, ma siccome vedendoli crediamo d’essere arrivati al ristoro, sono due chilometri che sembrano dieci. Anche perché sono in salita. Portano 4 km a testa al conteggio.

Sono le 18:30 e siamo al secondo vertice del Triangolo: Como. O meglio, appena sopra, mica ho fatto passare la traccia da giù.
Mangiare patate e maionese, focaccia e marmellata. Bere birra e Coca Cola, succo di frutta e the caldo. Riempire le borracce.

Una macchina si accosta decisa e parcheggia. Rita (pettorale #63) e suo marito Enrico sono arrivati per fare il tifo e rendersi utili.
Quando in chat hanno domandato se servisse qualcosa, Marco gli ha chiesto una pinza o un pappagallo.
Nessuno si stupisca, siamo a tredici ore di corsa e assistenza, mangiamo e beviamo come dei porcellini vietnamiti e abbiamo finito la bombola del gas: dobbiamo aprirne un’altra.

I ristori dopo 70 chilometri sono il trionfo del masochismo alimentare, perché non si bada più a nulla e si mischia la nutella con la maionese e, in uno stesso boccone un morso di banana e un cucchiaio di riso bianco. Almeno, così capita a me.

Luca e Novella si fermano qui. Insieme hanno percorso 48 chilometri.

Massimo e Massimo? Proseguono. Anche perché ormai tanto vale tornare a casa a piedi.
Andrea non ha nemmeno bisogno di entrare nel van per scaldarsi, ha la pellaccia dura e il sorriso sempre stampato.
Però mangia forse più di me.
Siamo rimasti in sei.
Saliamo.

L’argomento di conversazione è la birra, le gare in cui si beve birra e la birra che berremo al prossimo ristoro.
Praticamente un gruppo di alcolizzati.
Ma intanto superiamo i settantacinque chilometri. Bravo Massimo!
Corriamo sulla dorsale e poi sul Sentiero dei Faggi, che è sempre divertente e oggi il fondo è pure asciutto.
Ci perdiamo un po’, ci ricompattiamo. Le stringhe, il pettorale, un sorso dalla borraccia.
C’hai messo la birra?!
E giù a tutta verso Caslino d’Erba.
Lo ricordavo migliore, questo sentiero. Oggi è pieno di foglie fino al polpaccio. E poi diventa sconnesso, abbastanza fastidioso. Con più luce e meno chilometri fa un altro effetto.

Rotoliamo per le donne nepalesi.

Andrea e io guidiamo il gruppo, consci che dopo il sentiero ci aspettano tre chilometri di odiato asfalto.
E invece no: prendiamo una deviazione sulla destra e piombiamo dritti in paese. Ma guarda come ha tracciato bene quella che ha inventato il giro!
Mi complimento con me stessa, tanto sono stanca che non mi ricordavo avessi deciso per questa variante.
La gioia di non dover fare l’asfalto è tale che mi sento immediatamente ricaricata e al ristoro mi basta giusto un po’ da bere. E un paninetto al prosciutto. Con la maionese, ovviamente.
Teresa invece, che non ama le discese, arriva con le ginocchia che ne hanno abbastanza e gioca il jolly. Michele, suo marito, ci ha raggiunto dopo il turno di guardia in ospedale.
“Ora mi sostituisce lui” mi dice la mia amica. Ferma a 83 il conteggio dei chilometri di oggi.
“Ad Asso vi aspettiamo con le pizze!” esclama Marco mentre il gruppo riparte.

ristoro ad asso

Michi (pettorale #50) è allegro e scattante. Percorriamo il sentiero in costa sotto il Barzaghino, mentre ai nostri piedi si estende la Brianza e tutte le luci della pianura fino alla Bella Milano.
A Caslino stanno addirittura sparando i fuochi d’artificio.

Massimo, sono per te: ottantacinquesimo chilometro.

Rita ed Enrico ci vengono incontro sul sentiero per 500 metri. Che fa un chilometro tra andare e tornare.
Ad Asso, il gruppo di sostenitori è ancora numerosissimo. Novella e Roberto, Giulia e Luca.
Nino (pettorale #66), che eccezionalmente oggi non corre, è venuto fin qua per un abbraccio.
Solo Ceres non ha più le energie per abbaiare. Preferisce papparsi qualche crosta di pizza.

Sono arrivati anche gli ultimi amici.
Ci sono Marco (pettorale #7) e Franz. E poi Alessandro (pettorale #18), che sta filmando con la GoPro ancora prima di partire e sta anche mangiando la nostra pizza!
Il Cobra (pettorale #8), atterrato tre ore fa dalla Nuova Zelanda. Non sa bene che ore siano ma non perde tempo.

Ristoro ad asso

Patisco il Sentierun perché mi si chiudono gli occhi dal sonno. Avrò anche mangiato troppa pizza suppongo. E sì che non ce l’ho messa la maionese.
Non tengo il passo di Alessandro, ma quando superiamo Cesana Brianza, siamo ormai in dirittura di arrivo e mi risveglio. Manca solo la salita al Priel.
Arranchiamo per le donne nepalesi.
Però non molliamo.
Valmadrera è lì.
Massimo traguarda i suoi primi 100 chilometri. E noi con lui.

Chiudiamo il giro che sono 103 per Andrea, per Massimo e Massimo e per me.
15 per Marco, Franz, Cobra e Alessandro. 20 per Michele.

Birra, abbracci, foto. Ceres che scodinzola per dovere, ma preferirebbe dormire, come me.
Il sonno beato dopo una splendida giornata di 920 chilometri per Mira e per le sue ragazze.

Arrivo alla fine del giro


guendalina sibona un giorno ancoraGuendalina ha scritto un bellissimo libro “Un giorno ancora. Il mio viaggio dentro il Tor” che racconta della sua esperienza al Tor de Geants, alternando il racconto con aneddoti di vita. Consigliatissimo!!!!